Abbruciamento sul campo con accensione dall’alto e produzione di carbone agricolo (Biochar)

Mario Cioni (mario.cioni666@gmail.com) e Elio Napolitano (elionapo@gmail.com)

Riassunto.

Mediante semplici accorgimenti, come quella di innescare la pira dall’alto invece che dal basso, l’abbruciamento in campo può essere condotto in maniera da minimizzare il rischio di incendi e l’inquinamento dell’aria, ottenendo inoltre come prodotto un tipo di carbonella (“carbone agricolo” o “biochar”) particolarmente utile come ammendante del terreno. Produrre biochar, una forma stabile di carbonio, consente di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera contrastando l’effetto serra. Si auspica che l’abbruciamento in campo condotto con i dovuti accorgimenti venga riabilitato come metodo di smaltimento dei rifiuti in agricoltura.

Poster Abbruciamenti con accensione dall’alto e produzione biochar

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 Introduzione: bruciare per carbonizzare invece che per incenerire

fig. 1 Abbruciamento Ramaglie dall’alto con produzione biochar

L’abbruciamento sul campo [1] costituisce un metodo insuperabile per praticità nello smaltimento della biomassa prodotta nella conduzione di qualsiasi area agricola o forestale.

Sebbene tale pratica agricola sia fra le più tradizionale e radicate, la sua continuazione ha cominciato di recente a trovare sempre più ostacoli, in parte per la frequenza con cui i fuochi in campo sono stati ritenuti i focolai responsabili di incendi di vaste proporzioni, in parte per il contributo significativo che il fumo dei fuochi di legna darebbe all’inquinamento dell’aria con l’immissione di particelle sottili PM10, PM2,5.

Video completo (43′) . https://youtu.be/DxQkfehWoRs

La Regione Toscana, con il Piano Regionale per la Qualità dell’Aria (PRQA), ha individuato la principale sorgente di emissione del particolato primario nella combustione della biomassa, sia quella degli abbruciamenti all’aperto di sfalci e potature, sia quella di legna e pellet per il riscaldamento domestico. Oltre alla rigida regolamentazione di questa pratica, il suddetto Piano prevedeva tuttavia la stipula di accordi con le associazioni di categoria per favorire le buone pratiche nello smaltimento di sfalci e potature e per la loro corretta gestione e valorizzazione a fini energetici, anche attraverso appositi incentivi da individuare. Attualmente, la triturazione della biomassa per l’ottenimento di trucioli da pacciamatura o il confezionamento di fascine per il trasporto sembrano diventate le soluzioni più ovvie per l’eliminazione della biomassa da un terreno agricolo. Tali processi richiedono tuttavia l’impiego di macchinari, con i conseguenti costi aggiuntivi di acquisto, la manutenzione e gestione. 

Combustione in campo

Senza sottovalutare i problemi della combustione in campo, ci sono alcuni ritrovati recenti che potrebbero spingere a riconsiderare e rilanciare questa tradizionale pratica agricola. Sia il pericolo di incendi che il contributo all’inquinamento dell’aria possono essere drasticamente ridotti se i fuochi in campo vengono condotti adottando alcuni accorgimenti capaci di minimizzare efficacemente la formazione di fumo. 

fig. 3 Pira di frasca di ulivo (circa mezzo quintale) con salvataggio della carbonella in contenitore metallico.

Un vantaggio ulteriore dell’abbuciamento in campo, opportunamente condotto, è poi conseguibile se i fuochi vengono interrotti soffocando le braci presenti al momento in cui la fiamma viva si interrompe, così da ottenere carbonella invece che cenere. La carbonella prodotta da un fuoco dove la fiamma è divampata liberamente, che ha assunto la denominazione corrente di biochar (dall’inglese, letteralmente: carbonella biologica; in italiano denominata anche “carbone agricolo”), è un prodotto molto utile in agricoltura. Il biochar costitusce un eccellente ammendante per il terreno: la sua azione si esplica nel trattenere umidità e nutrienti e fornire il substrato per lo sviluppo dei microrganismi responsabili della fertilità del terreno; il biochar fa sì che il terreno nel quale è presente sviluppi una quantità inferiore di ossidi di azoto, mentre il biochar stesso, che per sua natura fissa stabilmente il carbonio del quale è costituito per quasi il 100%, sottrae irreversibilmente dall’atmosfera anidride carbonica, il principale responsabile dell’effetto serra.

Con la limitazione del fumo e la produzione di carbonella, ottenibili con minimi accorgimenti che non ne alterano la praticità, l’abbruciamento in campo potrebbe essere ricollocato a pieno titolo nella prospettiva della cosiddetta “economia circolare” promossa dalla Unione Europea per una valorizzazione delle risorse ed una agricoltura sostenibile. Nella Tabella sono riportati i valori tipici di biomassa prodotta in varie coltivazioni in Italia; si può stimare che anche la produzione di biomassa dei nostri boschi si attesteranno a valori compresi tra 1,5 e 2 t/ha. Considerando che la resa in biochar è tipicamente del 5-10% della biomassa bruciata, il che corrisponde alla fissazione del 12-30 % del carbonio in essa presente, la pratica della carbonizzazione su campo potrebbe produrre 2-3 quintali di carbonella per ettaro, corrispondente alla fissazione del carbonio liberato dalla combustione di 280-420 litri di gasolio.

Tabella. Produttività di residui nelle coltivazioni arboree in Italia. (Fonte:VALORIZZAZIONE ENERGETICA DEGLI SCARTI DI POTATURA DEI VIGNETI, Gianluca Cavalaglio et al., Centro di Ricerca sulle Biomasse, Via M. Iorio 8, Perugia, Tel. 075.500.42.09. cavalaglio@crbnet.it

PiantaResiduo(t/ha)
Vite2,9
Olivo1,7
Melo2,4
Pero2,0
Pesco2,9
Agrumi1,8
Mandorlo1,7
Nocciolo2,8
Tabella. Produttività di residui nelle coltivazioni arboree in Italia. (Fonte:VALORIZZAZIONE ENERGETICA DEGLI SCARTI DI POTATURA DEI VIGNETI, Gianluca Cavalaglio et al., Centro di Ricerca sulle Biomasse, Via M. Iorio 8, Perugia, Tel. 075.500.42.09. cavalaglio@crbnet.it

Sulla base dell’esperienza condotta col trattamento del materiale raccolto nei primi 3 mesi del 2021in località La Vignaccia, dove sono stati bruciati gli abbondanti scarti della pulizia degli argini del fiume (costituiti prevalentemente da acacia, ontano, nocciolo, sambuco, noce, rovo, canna, edera e vitalba), proponiamo alcune indicazioni pratiche per l’abbruciamento in campo che riducono il rischio di incendi e di inquinamento e consentono di produrre, anziché cenere, la forma di carbonella identificabile come biochar o carbone agricolo. L’obiettivo di questa pubblicazione è quello di proporre il rilancio dell’abbruciamento in campo come pratica corretta.

Bruciare senza fumo: accendere sopra con tiraggio da sotto

L’inquinamento prodotto dai fuochi è dovuto essenzialmente alle sostanze e alle particele presenti nel fumo; il fumo che promana dai fuochi è costituito principalmente dai prodotti del riscaldamento del legno (pirolisi) che non hanno trovato abbastanza ossigeno o una temperatura sufficientemente elevata per essere convertiti in anidride carbonica e acqua attraverso il processo della combustione, ovvero la combinazione completa con l’ossigeno dell’aria.

Per capire la soluzioni al problema del fumo, è necessario ricordare cosa succede in un fuoco: accendendo il fuoco, si dà inizio ad un processo di decomposizione del legno indotto dalla alta temperatura dell’innesco. Il primo stadio di questo processo è la pirolisi, ovvero una serie di complesse reazioni chimiche che producono la liberazione di sostanze volatili (gas e spirito del legno) altamente infiammabili. È la combustione dei prodotti volatili della pirolisi che produce la fiamma, alla cui sommità, se la combustione dei gas del legno è completa, si trovano in forte prevalenza anidride carbonica e vapore d’acqua. La visibilità della fiamma è dovuta alle particelle di cenere incandescente o a materiale in corso di combustione. La reazione di combustione, una volta innescata, procede spontanea perché il calore da essa prodotto è sufficiente a mantere attiva la pirolisi. Quando tutta la massa legnosa ha subito la pirolisi, la fiamma sparisce e rimane il prodotto solido della pirolisi (le braci roventi) che si trasformano lentamente in anidride carbonica, acqua e cenere.

Il fumo dei fuochi è costituito essenzialmente da prodotti della pirolisi che, per mancanza di ossigeno (il comburente presente nell’aria) non si infiammano. Cruciale, per l’eliminazione del fumo, è un adeguato afflusso di aria (ossigeno), tale da garantire la combustione completa del materiale della pirolisi. Una tecnica per bruciare riducendo drasticamente il fumo, per quanto contro-intuitiva possa apparire, consiste nell’accendere una pira dalla cima invece che dalla base, come si fa usualmente.

E’ vero che i prodotti caldi della combustione dell’innesco vanno verso l’alto e, innescando dalla base, si ha l’impressione che il fuoco si propaghi meglio alle altre parti della pira; in realtà, i gas caldi emessi dalla fiamma appiccata in basso, per quanto caldi, pur potendo indurre la pirolisi degli strati superiori, non possono indurne la combustione perché poveri di ossigeno. E’ in questo modo che il fuoco produce fumo, almeno finché non si creino vie nuove per l’afflusso di ossigeno, il che permette finalmente alla fiamma di divampare.

Accendendo la fiamma in cima alla pira [2] , i prodotti della pirolisi del legno si formano sotto la fiamma e trovano subito, nella zona di alta temperatura da dove si sono originati, l’ossigeno necessario a garantirne la combustione completa, purché che vi sia un sufficiente tiraggio d’aria dal basso. Mano a mano che il fuoco procede, negli starti superiori si forma brace, che si fa strada verso il basso, ma non viene consumata perché i gas roventi che la lambiscono sono solo i prodotti della combustione, che hanno un contenuto di ossigeno basso o nullo.

Perché questo sistema di abbruciamento abbia successo, è necessario che tutta la materia da bruciare sia sistemata in forma di catasta; l’alimentazione in continuo è controindicata, se si vuole sopprimere il fumo e se la resa in biochar è importante. I migliori risultati si ottengono ovviamente con l’impiego di una materia vegetale secca, ma le cataste di materiale abbattuto in inverno possono bruciare bene senza attenderne l’essiccazione, purché la catasta abbia la giusta compressione e apertura alla circolazione di aria, che ha sempre un ruolo importante. Gli strati della catasta non devono essere né troppo compressi, per non ostacolare l’afflusso di ossigeno (che, come detto sopra, deve provenire liberamente da sotto e dai lati) né troppo rarefatti, da rendere difficile la propagazione del fuoco. Particolarmente nociva è la presenza di foglie verdi (edera, vitalba) che tendono a bloccare l’afflusso di ossigeno verso l’interno della pira, oltre ad essere di per sé poco infiammabili. Le parti più fronzute, se le foglie sono fresche e grosse e non è stato possibile attendere l’essiccamento, possono essere aggiunte gradualmente (onde evitare fumo) una volta che il fuoco è ben avviato

In condizioni normali, il fuoco appiccato in cima alla pira avanza verso il basso formando una specie di camino, nel quale collassa progressivamente il materiale circostante; la pira si abbassa finché la fiamma viva si interrompe e la catasta originaria si è trasformata in un mucchio di brace rovente, il cui volume è una piccola frazione del volume originario. Nel momento in cui il materiale legnoso è tutto consumato (eccetto qualche tizzone ai bordi del mucchio) e la fiamma ha smesso di divampare, si è ottenuto il massimo della quantità di brace che, per ottenere biochar in buona resa, va soffocata nella maniera più rapida ed efficace.

Lo spegnimento della brace può essere fatto irrorando con acqua, meglio usando un innaffiatoio e bagnando bene la superficie dove sono presenti le parti più roventi: le parti roventi di giorno appaiono bianche. Per minimizzare il quantitativo di acqua, è utile rimescolare con una pala dopo l’aspersione in maniera da livellare la temperatura e smorzare le parti incandescenti. Efficace è anche il mescolamento con della terra, anche se questo appesantisce il prodotto. Molto efficace è il trasferimento delle braci in contenitori metallici muniti di coperchio a tenuta di capacità opportunamente scelta sulla base delle quantità di brace prevista. Bidoni da 200 litri o secchi da immondizia da 80 litri sono i più facili da reperire. L’impiego dei contenitori metallici con tappi a tenuta consente di evitare l’uso dell’acqua; inoltre, la carbonella viene a trovarsi direttamente nei contenitore coi quali può essere trasportata. Il materiale secco ottenuto dal soffocamento in bidoni è molto leggero, più facile da trasportare e da mescolare con eventuali concimi o fertilizzanti specifici. E’ necessario tenere presente che la carbonella secca contiene della polvere leggera, ed un certa aggiunta di acqua nei contenitori può essere utile per impedire lo spolveramento nei travasi.

fig. 3 Abbruciamento della frasca derivante dalla pulizia del bosco gennaio marzo 2021. (ontano, nocciolo, sambuco, rovo, vitalba). Quantità stimata: circa 5 quintali. La leggera fumea nella foto a destra nel centro è dovuta alla presenza di folate di vento.

Consigli pratici. Una volta separata dalle parti legnose più grosse, solitamente destinate al caminetto o alle stufe, la parte più fine della potatura o degli abbattimenti di alberi (cosiddetta “frasca” – con rami di sezione inferiore a 1.5 cm) va accumulata nel punto del fuoco, per il quale è adeguato un qualsiasi spiazzo non eccessivamente pendente. Non ci sono limiti alle dimensioni di una catasta isolata, anche se l’altezza può difficilmente superare i 2 m, quando il caricamento è fatto manualmente. La base può essere ampia quanto si vuole, ma sempre abbastanza da garantire la stabilità della pira, che ha tipicamente una struttura tronco-conica. Intorno alla pira ci dovrebbe essere una fascia pulita di almeno 2 metri di spessore, dove il fuoco non si possa propagare e all’interno della quale l’operatore possa muoversi agevolmente. Lo spazio sovrastante la pira e il camminamento circostante dovrebbe essere libero dalle protuberanze delle chiome di alberi circostanti. La pira può anche essere appoggiata ad una scarpata ripida o ad un muro.

La formazione della pira è la parte più laboriosa del processo ed è quella che richiede il maggiore sforzo per abbandonare la vecchia tipica abitudine di fare più fuochi di piccole dimensioni, variamente localizzati nella proprietà, in maniera da minimizzare la fatica del trasporto. Il senso comune suggerisce che i fuochi alimentati in continuo senza grossi apporti di materiale consentano di limitare l’altezza delle fiamma e contenere il rischio dell’incendio; purtroppo la fretta non sempre consente di misurare la quantità di materiale da aggiungere al fuoco, sicché (a meno di non perderci tanto tempo) i fuochi alimentati in continuo fanno fumo e spesso, dopo il fumo, fiamme incontrollabili.

Anche se può sembrare pericoloso appiccare il fuoco a una quantità ingente di materiale, in assenza di vento forte (in presenza del quale i fuochi non andrebbero mai accesi) il progresso della combustione di una catasta accesa dall’alto avviene gradualmente e senza impennate, per la maniera regolare in cui comburente e combustibile vengono in contatto; da tenere presente che, se c’è vento, la fiamma avanza verso la direzione del vento ma le lingue di fuoco vanno nella direzione opposta, e questa è una circostanza nella quale si può avere fumo e una accelerazione della combustione. L’azione del vento può essere moderata schermando la pira con un lamierino di metallo di dimensioni adeguate.

La combustione di una catasta tipica alta 1.80 m e con un diametro alla base di 2,5 m è generalmente completa in 2 ore e, una volta avviato il fuoco, non richiede interventi, se non quello di sospingere di tanto in tanto il materiale verso l’interno, di modo che il mucchio di brace alla fine sia il più raccolto possibile. Se i rami della frasca non eccedono i 1.5 cm di diametro, alla fine della fiamma il mucchio di brace contiene solo materiale totalmente carbonizzato. Lasciata a sé, la brace si incenerisce nel giro di altre 2 ore. 

Può essere utile cominciare a raccogliere la brace dal centro del mucchio, portando verso il bordo eventuali tizzoni ancora non totalmente carbonizzati. Non conviene aspettare la completa carbonizzazione del materiale più grossolano o di quello che sta al bordo del fuoco perché da un certo momento in poi la perdita per incenerimento della brace diventa più importante dell’apportato derivante dal completamento della combustione; per la stessa ragione non conviene, apportare nuovo materiale, se interessa la resa in biochar.

Riferimenti e Note.

[1] La pratica del fuoco è millenaria; attualmente è mantenuta viva e rivendicata come pratica corretta in tanti luoghi dove si pratica agricoltura sostenibile. Ad esempio:  http://www.southernrockiesfirescience.org/research-publications-1/2021/2/26/returning-fire-to-the-land-celebrating-traditional-knowledge-and-fire.
Particolare attenzione sta ricevendo la combustione con produzione di carbonella: http://www.southernrockiesfirescience.org/search?q=biochar  
In questo lavoro riportiamo la nostra esperienza sul campo, svolta nell’arco di alcuni anni nella zona di Calci, con vari tipi di scarti e potature. [ritorna]

[2] La pratica di innescare il fuoco dalla cima della catasta è apparentemente molto recente; in uso nei campi dei partigiani Norvegesi durante la Seconda Guerra Mondiale, è divenuta la base per la costruzione di stufe col nome di TLUD, acronimo di “top light up draft”. Vedi ad esempio: https://wendelborecho.wordpress.com/our-story/inventor/
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